“Il mercante di monologhi”

SUBITO DOPO AVER CALCATO IL PALCO DEL TEATRO PIME DI MILANO, VOCI E MANI ANCORA CALDE, MATTHIAS MARTELLI E MATTEO CASTELLAN, I PROTAGONISTI DE “IL MERCANTE DI MONOLOGHI”, SI RACCONTANO A COSI’ E’ LA RADIO

– Domande e intervista a cura di COSÌ È LA RADIO (SE VI PARE) –

 

Com’è nato questo spettacolo?

MARTELLI:  È nato dall’idea di riportare in auge il teatro giullaresco e popolare, quello fisico, mimico, satirico e comico insieme, un po’ come faceva Dario Fo. Da quelle radici è cresciuta la volontà di portarlo dappertutto, nelle piazze, nei teatri, nei locali… All’inizio cercavamo di toccare davvero più posti possibili con il nostro carretto, il simbolo del teatro girovago.

CASTELLAN: Il carretto permette di portarsi dietro il teatro, quindi non hai bisogno di una struttura esterna ma puoi recitare ovunque tu sia, come i girovaghi di una volta. Quindi, specialmente durante i primi tempi, siamo stati in tutti i tipi di posti, dai grandi teatri alle situazioni di strada.

Lo spettacolo va riadattato a seconda del contesto?

MARTELLI: Assolutamente: alcuni pezzi funzionano molto bene in strada, altri in teatro. Ad esempio, il pezzo dell’antropologo (eseguito in scena, N.d.r.) in teatro funziona bene, in piazza meno, essendo giocato tutto su azione/reazione (e in uno spazio aperto e ampio non percepisci bene le reazioni). Devi anche fare molti compromessi artistici, visto che magari ti trovi in un posto dove alcune cose funzionano e altre no.

Martelli, lei ha lavorato con Dario Fo: com’è affiancare un premio Nobel?

MARTELLI: È incredibile, soprattutto se il premio Nobel ha un’umiltà come quella di Dario Fo: sembrava di stare col nonno che ti racconta storie. Non aveva nessuna pretesa di superiorità, non ti faceva mai sentire inferiore. È una lezione che mi porto dietro: se un Nobel di ottanta anni (quella la sua età quando l’ho conosciuto) riusciva ad essere così privo di boria, vuol dire che i grandi sono così, e non le persone invidiose, rancorose e saccenti. I veri grandi sono umili, anche perché l’obiettivo di Fo quando era in scena non era certo quello di accrescere il proprio ego.

L’attore non ha però un po’ questa nota di vanità, di narcisismo?

CASTELLAN: Può succedere che uno inizi con quella chimera, ma poi quando va in scena tendenzialmente si accorge che la realtà è un’altra. La realtà è che la cosa importante, la cosa che conta quando si è in scena è la comunione che si crea con il pubblico. Quando sei davvero fortunato e in una serata tutto funziona bene, allora tu (attore) potresti essere uno del pubblico addirittura, è una cosa un po’ “zen”. Succede che trovi questa osmosi ed è ciò che ti aiuta, se sei un’artista sensibile, ad avere un’umiltà. Ti rendi conto che a parti invertite proveresti lo stesso piacere.

MARTELLI – Credo che il grande insegnamento durante le repliche sia proprio questo: dover entrare e connettersi energeticamente con un pubblico che tutte le volte è diverso, in una sala sempre diversa, alle volte enorme, alle volte più piccola, certe volte piena, altre no. Tutte le volte bisogna entrare e connettersi con l’energia del pubblico, solo così arriva il testo che si porta in scena. Alla fine, capisci che lo scopo è creare armonia e connessioni e allora te lo porti fuori e comprendi che la vita stessa è creare armonia e connessioni. Diciamolo, se la recitazione si riducesse a un discorso di ego sarebbe tremendo.

CASTELLAN: Sarebbe davvero tremendo, anche perché l’ego ha sempre paura di crollare. È pesante entrare in scena pensando di dimostrare quanto si è bravi. È più bello entrare, stare in ascolto e pensare di creare qualcosa insieme a chi c’è. Ad esempio, stasera c’era un grande calore, una notevole propensione alla risata.

Come si è trasformato oggi, se lo ha fatto, il teatro, visto che deve confrontarsi con tutti gli altri stimoli di intrattenimento, in particolare offerti dalla tecnologia? Che ricezione percepite del teatro popolare-giullaresco che voi portate in scena?

MARTELLI: Il teatro popolare giullaresco è quello che più di altri ti impone di cercare la connessione, dove non ti puoi limitare a declamare. La differenza del teatro rispetto a tanti nuovi tipi di intrattenimento sta nel fatto proprio che quest’ultimi sono virtuali. Con essi manca quella cosa che succede in quel determinato momento, quel qualcosa che viene fatto e subito dopo è già morto. Il teatro è un flusso, come la vita. Non puoi guardarlo due volte, perché è sempre diverso. Questa secondo me è la forza che farà si che il teatro non morirà mai.

MARTELLI: Anche uno spettatore che viene a vederti due volte non vedrà mai lo stesso spettacolo. Io credo che ci sarà un momento di rigetto per l’eccesso di tecnologia, per l’eccesso di velocità, per le fruizioni di video di pochissimi secondi, e questo rigetto si riverserà sicuramente intorno a una delle forme di intrattenimento che di più sicuramente sta resistendo e che è il teatro, questo proprio perché il teatro non è riducibile in questo modo (virtuale).

Quindi, in previsione del fatto che il teatro è destinato a resistere ancora a lungo, quali sono i vostri progetti futuri?
 MARTELLI: Il 2 marzo debutterà a Torino “Nel nome del dio web”, uno spettacolo tutto incentrato sul web e le moderne tecnologie di comunicazione, prodotto dalla Fondazione TRG. Il pubblico avrà l’occasione di rincontrare don IPhone e di ascoltare le musiche composte appositamente dal maestro Cattelan. Poi, oltre a continuare a portare in giro Mistero Buffo (a Milano da ottobre 2019, ndr), io e il maestro abbiamo in cantiere una nuova idea.
La musica e il teatro: due mondi sicuramente comunicanti, ma sicuramrente differenti. Com’è nata la vostra collaborazione?
CASTELLAN: Il primo a “contaminarsi” sono stato io: lavoravo col teatro già prima di conoscere. Quando ci siamo incontrati suonavo per un varietà, tutti i martedì a Torino. Io ero sopra il palco, che accompagnavo da solo con vari strumenti i numeri degli attori; uno di questi era l’antropologo di Mathias e lui, mentre recitava, ogni volta che si girava a guardarmi vedeva che mi spanciavo dalle risate. Così è nata l’idea di un sodalizio.
MARTELLI: mi facevano impazzire i suoi accompagnamenti musicali: degli stacchi così delicati e al tempo stesso potenti. Una cosa che credo sia veramente fondamentale di questo lavoro è il non avere dei “collaboratori”, ma degli “amici”, perché quando c’è la si vede quell’intesa, la si trasmette sul palco. Anche con Loris, il nostro tecnico, c’è un rapporto che va al di là del lavoro: siamo un gruppo di amici che vanno in giro, si raccontano i fatti loro, ridono e scherzano. Se manca la coesione, il sentimento del “gruppo”, tutto diventa veramente logorante.
CASTELLAN: Senza contare che il rapporto di amicizia permette una maggiore sincerità: puoi essere più diretto nell’esprimere giudizi, pareri o consigli sul lavoro che si sta facendo. E noi abbiamo questa fortuna: siamo prima di tutto due amici.